Sembra che si voglia davvero ripartire con il Ponte sullo Stretto di Messina.
Il decreto-legge che ferma la liquidazione della Stretto di Messina spa, prevede che la società avrà una nuova e più moderna governance, con una partecipazione di maggioranza del ministero dell’Economia e di quello delle Infrastrutture, assieme ad Anas e alle Regioni Siciliana e Calabria.
E, naturalmente, come una sorta di riflesso condizionato, ripartono le polemiche e si rilanciano veti e pregiudizi, in parte per visioni legate a vetero-ambientalismi ovvero per scarsa conoscenza della funzione civile ed economica di tale opera.
Ma ciò che sorprende è l’opposizione di parte del sindacato, in primo luogo della Cgil di Landini, che immemore della storica posizione della sua confederazione, si pensi al “Piano per il lavoro” di Di Vittorio fondato su investimenti pubblici per creare occupazione, ha assunto una posizione di ferma contestazione, che sembra richiamare pauperismi e “decrescite felici”. Così come non si comprende chi, come la Uil, subordina il ponte alla realizzazione di altre opere pubbliche, quale l’alta velocità da Salerno sino in Sicilia, non tenendo in conto, come hanno dichiarato le Ferrovie dello Stato, che solo il collegamento stabile può consentire di modernizzare la rete ferroviaria nel Mezzogiorno, e che un leader autorevole della Uil, come Pietro Larizza, fu sempre favorevole al Ponte.
Il Ponte di Messina non può essere visto riduttivamente come un’opera funzionale solo a velocizzare il traffico tra le due sponde dello Stretto, ma in primo luogo quale infrastruttura di rilevanza europea e transnazionale, segmento fondamentale di quel Corridoio 1 per creare un asse che da Berlino arriva sino a Palermo.
Il Corridoio attraverserebbe l’Italia per due terzi della sua lunghezza, rappresentando un importante asse di collegamento per il trasporto merci e persone a lunga percorrenza su gomma e su rotaia.
E’ del tutto evidente che la realizzazione del Corridoio 1 costituisce un’opportunità per il Mezzogiorno e può essere fattore di avvicinamento e integrazione fra le regioni meridionali dell’Italia e quelle dell’Europa settentrionale e centro-orientale, nello spirito della politica europea di coesione economica e sociale, oltre che nella prospettiva euromediterranea.
Il Ponte sullo Stretto di Messina deve rappresentare la consapevolezza che è necessario investire al Sud anche in grandi opere infrastrutturali, funzionali alla modernizzazione di sistema, precondizione fondamentale per attirare capitali privati e creare lavoro produttivo. Se si vuole evitare l’inutile retorica meridionalistica o, peggio, i veti da parte di alcuni settori del grande capitale del Nord e del suo lobbysmo mediatico, servono massicci investimenti in porti, autostrade, reti ferroviarie e collegamenti telematici, politiche fiscali, ambientali ed energetiche di vantaggio e, in questo necessario scenario, la realizzazione dell’opera assume una valenza strategica.
Il Ponte può consentire al Mezzogiorno d’Italia di divenire la piattaforma logistica ed operativa dell’incontro tra l’Europa e un Mediterraneo pacificato, con una forte valorizzazione delle imprescindibili istanze dei territori meridionali, valorizzando l’Area dello Stretto, mettendo in equilibrio globale e locale, come inizio concreto della rinascita del nostro Sud.